LA VIOLENZA SULLE DONNE da IL MANIFESTO e CORSERA
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA VIOLENZA SULLE DONNE da IL MANIFESTO e CORSERA

Vincenza, la Saman di settant’anni fa

Gian Antonio Stella | 08 giugno 2021

Storia di una ragazza di 17 anni di Mazara del Vallo, stuprata e messa incinta dal fratello, uccisa dal padre per aver «leso» l’onore della famiglia

«Concezione bestiale del delitto d’onore. Uccide la figlia spingendola sotto un treno». In giorni d’orrore per la fine di Saman Abbas, la diciottenne pakistana assassinata perché si sentiva italiana ed era accusata d’aver «disonorato la famiglia» rifiutando un matrimonio combinato, vale la pena di rileggere un articolo pubblicato una settantina d’anni fa sul Giornale di Sicilia. Omettiamo solo i cognomi.

«In seguito al rinvenimento lungo la strada ferrata Marsala-Mazara-Alcamo del cadavere della diciassettenne Vincenza N. da Mazara del Vallo, i carabinieri iniziavano, or sono quindici giorni, accurate indagini in seguito alle quali denunciavano in stato d’arresto i genitori e il fratello della vittima, a carico dei quali erano emerse responsabilità gravissime. È stato infatti accertato che la ragazza aveva avuto rapporti col proprio fratello, il contadino ventiduenne Bernardo N., ed era rimasta incinta. In conseguenza di ciò i genitori, ritenendo che fosse stato leso dalla ragazza l’onore della famiglia, la istigavano al suicidio, attendendo con spietata e disumana ansietà ch’ella attuasse il gesto riparatore». Ma come: lui aveva stuprato la sorella più giovane e lei (lei!) era accusata d’aver offeso l’onore familiare?

«Il protrarsi di una situazione familiare resa ormai insostenibile», proseguiva la cronaca, «avevano ormai stremato ogni resistenza opposta dalla giovinetta che tuttavia si rifiutava, non ritenendosi la sola colpevole, di eseguire l’empia sentenza deliberata dal tribunale di famiglia, e voleva ad ogni costo vivere per espiare e redimersi, anziché morire in peccato. L’indugio esasperava il padre della N., il cinquantatreenne Vito N. (…) il quale invitava la figliola a seguirlo lungo la strada ferrata dichiarando che se le mancava il coraggio di uccidersi, la avrebbe aiutata lui. Quanto mai drammatico e disumano sarà stato il colloquio tra genitore e figlia nell’attesa del passaggio del treno… Furente e spietato il padre non esitava ad afferrare la figlia e a lanciarla sotto le ruote del convoglio: un urlo straziante squarciò il silenzio dei campi superando lo sferragliare del treno che continuò la sua corsa lungo la strada ferrata sulla quale era rimasto orribilmente maciullato il cadavere della infelice giovinetta…».

Non era un padre immigrato, non era pakistano, non era islamico.

Wissal Houbabi: «Il problema non è l’islam e l’occidente non è la soluzione»

Saman Abbas. L’attivista femminista di seconda generazione: «La violenza maschile non è una caratteristica solo delle comunità islamiche. Bisogna sapersi districare tra la propaganda razzista e l’ invisibilità di un sistema patriarcale. Serve un’interpretazione intersezionale»Giansandro Merli  10.06.2021

Wissal Houbabi è attivista femminista intersezionale. Ama hip hop e cultural studies. Nata nel 1994 in Marocco, è cresciuta in Italia. Scrive poesie, articoli e canzoni.

Per ragazze come Saman Abbas l’islam è il problema e la società occidentale la soluzione?

Nessuna delle due. L’islam è una religione. Come per tutte le religioni bisogna vedere chi la rappresenta. Alcune persone usano l’islam come una scusa, ma agiscono in modo arbitrario. La cultura occidentale non è la risposta: in queste vicende funziona come un fattore di giudizio. Ci si sofferma sul fatto che il delitto venga da un islamico estremista più che sulla morte di una donna. Lo sguardo è sempre rivolto verso ciò che ci fa paura: l’islam, la religione che ci sta invadendo, le persone barbare e arretrate. Quello su cui dobbiamo concentrarci è che probabilmente una ragazza è stata uccisa perché i suoi diritti sono stati violati.

La fatwa è uno strumento per risolvere il problema dei matrimoni forzati?

Non lo è. Ma una presa di posizione delle comunità islamiche ha un valore autorevole. Soprattutto per chi riconosce un ente come l’Unità delle comunità islamiche in Italia (Ucoii). Comunque viviamo in uno stato di diritto in cui si danno risposte legislative universali a problematiche universali. Qui stiamo parlando di femminicidio e violenza maschile contro una donna. Che sia di un’altra cultura o origine, che si utilizzi il presunto onore della religione islamica importa meno. L’Ucoii adesso dovrebbe collaborare con i centri antiviolenza per dimostrare che c’è un riconoscimento della violenza maschile contro le donne, per intercettare le donne che vedono le moschee e i centri islamici come punti di riferimento. Nei luoghi di culto servono volantini informativi e lavoro di prevenzione. La comunità islamica stessa deve fare un lavoro di decostruzione del sistema patriarcale.

Dopo episodi come quello di Saman, le comunità islamiche sono puntualmente richiamate al dovere di schierarsi. Come dopo gli attacchi terroristici. Perché?

Essendo una minoranza subiscono l’attacco legato ai pregiudizi che fanno di tutta l’erba un fascio. Quando un gruppo di terroristi uccide e rivendica con l’islam, tutti gli islamici diventano terroristi. Così anche per un femminicidio. Peccato che i femminicidi avvengano ogni tot giorni. La violenza maschile non è una caratteristica solo della comunità islamica. Se per ogni uomo bianco che ammazza una donna dovessi vedere tutti gli altri uomini bianchi con il volto di un femminicida non rilascerei questa intervista.

Sinistra e movimento femminista sono stati timidi su questa storia?

Il movimento femminista purtroppo sì, perché è molto difficile affrontare questo tipo di intersezione. Quando si parla di intersezionalità si pensa a un accumulo di oppressioni che una donna vive sul proprio corpo: sessismo, razzismo, etc. Ma intersezionalità significa anche affrontare il fatto che dentro una comunità ci possa essere una componente misogina. Quando una minoranza, come una famiglia pakistana, compie azioni così atroci serve un’interpretazione intersezionale che restituisca uno sguardo complesso e complessivo sulla realtà. Bisogna sapersi districare tra propaganda razzista e invisibilità di un sistema patriarcale. Capita che il movimento tenda a evitare di esporsi perché è molto difficile farlo. Poi esistono posizionamenti diversi. Ci sono donne islamiche che la vedono diversamente da me, che vengo dalla stessa comunità.

Sembra che la madre della ragazza abbia approvato il piano. La cultura patriarcale riguarda anche alcune donne?

La cultura patriarcale ti può annullare completamente nella volontà. È difficile capire cosa pensi una donna che consegna sua figlia. In certi contesti il binarismo dei ruoli fa in modo che l’uomo lavori e la donna si occupi dell’educazione. Quando la figlia non segue i canoni a lei imposti, la responsabilità ricade sulla madre e questo la porta a essere complice. Un’altra gabbia da nominare e decostruire. Il sistema patriarcale è una forma di pensiero strutturale: non si nasce femministe, lo si diventa. È difficile giudicare. Certo è che la donna è stata coinvolta.

Il sistema di accesso a permessi di soggiorno o cittadinanza aiuta le donne nei percorsi di autodeterminazione?

Ci sono dei permessi di soggiorno che possono tutelare, ma funzionano solo al termine di un percorso, dopo che è stata espressa chiaramente la violenza subita. Non sempre è facile. Senza lo ius soli i ricatti di padri e mariti aumentano. Serve la cittadinanza per le nate e cresciute qui come strumento di autodeterminazione. Se è tutto legato al lavoro rimani dipendente dalle volontà dell’uomo.

Il femminismo islamico è possibile o per essere femministe bisogna liberarsi dall’islam?

È assolutamente possibile. L’islam va messo in discussione, in primis dalle donne che dentro le comunità conoscono le strumentalizzazioni della fede che alimentano la violenza maschile. Ci sono femministe islamiche del Nord Africa, del Medio Oriente o italiane che fanno un grosso lavoro. A loro va chiesto solo di riconoscere la libertà di poter scegliere anche l’ateismo.

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