RASSEGNA GEOPOLITICA da LIMES
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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RASSEGNA GEOPOLITICA da LIMES

Le contromisure degli europei all’escalation russa e altre notizie interessanti

 23/02/2022

La rassegna geopolitica del 23 febbraio.

analisi di Alberto de SanctisDaniele SantoroMirko Mussetti

DONBASUCRAINAFRANCIAUEOCEANO PACIFICOMARIDIFESA
RECEP TAYYIP ERDOĞANVLADIMIR PUTIN

LA GUERRA DEGLI ALTRI [di Mirko Mussetti]

Mentre il Consiglio federale della Russia concede al presidente Vladimir Putin il potere di dispiegare a propria discrezione le truppe moscovite fuori dai confini federali, la Verchovna Rada (Consiglio supremo) dell’Ucraina permette alla cittadinanza di procurarsi armi da fuoco, affinché possa resistere a un’invasione su larga scala.

Perché conta: L’evidente escalation propagandistica e militare tra Mosca e Kiev spinge anche le cancellerie occidentali minori a praticare riposizionamenti tattici sul piano del soft power (iniziative diplomatiche e sanzioni economiche) e dell’hard power (dispiegamento e dotazioni militari). Differenziandosi per l’intensità applicata, ma convergendo nelle intenzioni. A parte la Germania.ie

Il presidente della commissione Difesa della Germania Marie-Agnes Strack-Zimmermann ha dichiarato che la consegna di armi a Kiev sarebbe inutile: «L’esercito russo ha circondato l’Ucraina con 190 mila soldati. Putin non sarebbe dissuaso da alcune armi che potremmo eventualmente fornire». Allo stesso tempo conferma la scelta tedesca di affossare Nord Stream 2: «Per noi questo gasdotto è morto». L’incongruenza della politica estera di Berlino è confermata.

Emulando l’orientamento degli Stati Uniti, il governo del Regno Unito prepara un ulteriore pacchetto di sanzioni verso la Russia, in grado di colpire sia la cerchia ristretta del presidente Putin sia il sistema bancario russo. Come i loro colleghi americani, dopo essere già ripiegati a Leopoli, i funzionari britannici in Ucraina si apprestano a trasferirsi momentaneamente in Polonia.

Il governo di Varsavia ha approvato la bozza di legge sulla “difesa della patria”, che permetterebbe l’incremento delle Forze armate in risposta all’aggressività di Mosca in Ucraina. Il primo ministro Mateusz Morawiecki ha firmato l’ordinanza che innalza a Crp-3 il livello di allerta cibernetica in tutto il paese.

Dopo aver rifornito l’Ucraina di missili terra-aria Stinger, il falco dei baltici – la Lituania – segue l’esempio polacco e programma l’aumento della spesa militare per il 2022 a 1,2 miliardi di euro (2,05% del pil). E il presidente Gitanas Nauseda vola a Kiev in compagnia dell’omologo polacco Andrzej Duda per interloquire con il capo di Stato Volodymyr Zelens’kyj e sponsorizzare l’adesione dell’Ucraina alla Nato. La nostalgia per il Granducato non è mai morta a Vilnius e l’“Unione di Lublino” solletica le aspirazioni geoculturali più profonde delle élite polacche in Ucraina occidentale.

Dopo aver rinunciato a esercitare il diritto di veto per bloccare le sanzioni Ue alla Russia, l’Ungheria si appresta a schierare le proprie truppe al confine con l’Ucraina per lo svolgimento di “compiti umanitari”. Il primo obiettivo è quello di impedire l’ingresso nel paese di gruppi armati stranieri (paramilitari ucraini e mercenari russi), il secondo di accogliere eventuali rifugiati di guerra dall’Ucraina, con un occhio particolare per la minoranza magiara che abita la Rutenia subcarpatica. Onde evitare incidenti diplomatici con Kiev, le Forze armate ungheresi dovranno prestare attenzione a non sconfinare accidentalmente in Transcarpazia.

Infine, il ministro della Difesa di Bucarest Vasile Dîncu rende noto che la Romania, secondo piani già stilati, potrebbe accogliere fino a 500 mila sfollati dall’Ucraina. Ma soprattutto il paese perno degli Stati Uniti nella regione balcanico-eusina spera di accogliere sul proprio territorio gli F-35 statunitensi. È una forma di dissuasione verso il Cremlino, affinché non prenda in considerazione azioni aggressive contro la Romania, già altamente improbabili.
Per motivi legati alla memoria storica, lo spauracchio russo è e resterà sempre vivo nel paese carpatico.

Per approfondire: In Ucraina la Russia vuole spaccare la Nato. Finora non c’è riuscita 


DONBAS “INACCETTABILE” PER LA TURCHIA [di Daniele Santoro]

Il ministero degli Esteri della Turchia ha definito “inaccettabile” il riconoscimento dell’indipendenza delle repubbliche separatiste del Donbas da parte della Russia. Concetto ribadito da Recep Tayyip Erdoğan in una telefonata con il suo omologo ucraino Volodymyr Zelensky, nella quale il presidente turco si è dichiarato contrario a qualsiasi azione che metta in discussione l’integrità territoriale dell’Ucraina.

Perché conta: La Turchia rischia di diventare la vittima eccellente della crisi ucraina, fiuta distintamente il pericolo di restare schiacciata nel braccio di ferro tra Stati Uniti e Russia a nord del Mar Nero. Di uscirne con le ossa rotte.

Negli ultimi anni l’Ucraina è diventata un tassello essenziale dell’ordine mediterraneo architettato da Erdoğan. Non è solo un cliente anatolico, sta diventando uno dei motori che propellono la crescita della potenza militare turca. In senso letterale. […]

I turchi sono perfettamente consapevoli del fatto che in caso di conflitto le infrastrutture dedicate alla produzione di assetti destinati all’esportazione in Turchia sarebbero obiettivi naturali delle Forze armate russe. Le cui azioni comprometterebbero nell’immediato anche i corposi rapporti commerciali bilaterali (Ankara è il primo investitore straniero in Ucraina) e il flusso di turisti verso l’Anatolia (il terzo per dimensioni dopo quelli provenienti da Russia e Germania). Senza contare gli effetti di medio periodo sugli equilibri eusini…

Continua a leggere l’appunto geopolitico di Daniele Santoro


500 UNITÀ PER LA US NAVY POSSON BASTARE [di Alberto de Sanctis]

Il capo delle Operazioni navali della Marina militare statunitense, ammiraglio Mike Gilday, sostiene che la flotta americana deve poter disporre di almeno 500 navi per far fronte agli attuali impegni della superpotenza e a quelli della prossima National Defense Strategy del Pentagono. Gilday ha parlato in occasione della 32ª edizione di West 2022, la conferenza che riunisce ogni anno a San Diego il gotha del mondo dei servizi navali e della Difesa statunitensi.

Perché conta: Il tema della crescita numerica della US Navy si riaffaccia con insistenza nel discorso pubblico americano da qualche tempo. Segno che la prima forza navale del pianeta, sotto questo profilo, ha qualcosa che non va.

Attualmente la forza da battaglia della flotta è di 296 unità, per una media di 90 navi sempre in movimento. Numeri che nell’attuale congiuntura geopolitica gettano un’ombra sulla capacità di perpetuare il controllo americano sui mari di tutto il globo. Nell’ultimo decennio, tanto per fare un esempio, il Mar Mediterraneo e l’area del Golfo Persico hanno contato sempre meno dispiegamenti da parte di portaerei Usa – molto più richieste altrove, a cominciare naturalmente dall’Asia orientale.

La presa di posizione pubblica del massimo ufficiale della forza armata segnala l’urgenza di arrivare a una decisione definitiva. Oltre che di inchiodare i decisori politici alle loro responsabilità. Nel dicembre 2020, dunque poco prima di lasciare la Casa Bianca, l’amministrazione di Donald Trump diffuse un ambizioso piano di costruzioni per portare la flotta a 355 navi entro il 2031 – salvo poi lasciare al governo democratico entrante l’onere di finanziare lo sforzo e di dare seguito alle promesse. L’amministrazione Biden ha subito accantonato il piano, chiedendo al Pentagono e alla Marina di rifare i calcoli senza però sperare in maggiorazioni di bilancio.

Adesso Gilday sostiene che gli Stati Uniti hanno bisogno di 12 portaerei nucleari, 9 grandi unità d’assalto anfibio e altre 19-20 unità anfibie di supporto, 60 cacciatorpediniere, 50 fregate, 70 sottomarini nucleari d’attacco, 12 sottomarini lanciamissili balistici, 100 unità di supporto e almeno 150 navi senza pilota. Questi numeri sono il frutto di calcoli ed esercizi svolti con insistenza soprattutto nell’ultimo anno, per prepararsi a combattere un grande conflitto aeronavale nelle vastità oceaniche dell’Indo-Pacifico e nei suoi molteplici colli di bottiglia insulari. Nel mentre anche la Quinta Flotta, la cui competenza si estende alle acque mediorientali, è in prima linea per testare l’impiego in massa di unità navali a pilotaggio remoto. Il cui rapido ingresso in linea sarà decisivo per far crescere la massa della US Navy nel corso dei prossimi decenni.

La priorità della superpotenza è contrastare la spettacolare crescita numerica della rivale flotta cinese, che a fine 2021 contava ben 355 unità di vario tipo (anche se mediamente più piccole, meno capaci e potenti delle controparti americane) e si avvia ad averne 460 entro il 2030.

Per approfondireGli Stati Uniti tengono in pugno il tridente di Nettuno


IL FORUM INDO-PACIFICO PER LA FRANCIA [di Alberto de Sanctis]

La presidenza francese del consiglio dell’Unione Europea ha convocato a Parigi un forum di livello ministeriale per la cooperazione nell’Indo-Pacifico cui hanno preso parte una trentina di paesi dell’area, i titolari degli Esteri dei paesi membri e l’alto rappresentante per la politica estera dell’Ue Josep Borrell. Si è trattato dell’evento più importante in materia da quando l’Unione si è dotata di una strategia indo-pacifica.

Perché conta: Come da tradizione, la Francia sceglie di vestire l’abito comunitario per tutelare un suo preciso interesse nazionale. La minaccia in questo caso è rappresentata dall’ascesa della Cina, che rischia di stravolgere l’ordine regionale in essere dalla fine della seconda guerra mondiale.

Parigi ha inserito l’Indo-Pacifico fra le priorità della presidenza di turno dell’Ue in virtù dei suoi estesi possedimenti d’Oltremare, di rilevanti interessi strategici ed economici in loco e dei circa due milioni di cittadini francesi che abitano la regione. Il fatto di essere l’unica potenza veterocontinentale con una presenza militare stabile nell’area ne alimenta l’ambizione di imporsi come il naturale punto di riferimento per gli europei che guardano oltre Suez e per tutti gli altri attori regionali presi nel mezzo dello scontro Usa-Cina.

Il forum ha ribadito l’importanza del teatro e ha promesso di rilanciarvi l’impegno di lungo termine dell’Ue. Oltre a cybersicurezza, connettività, regole condivise, vaccini e investimenti, svetta in particolare l’enfasi sull’Oceano Indiano e sulla necessità di coordinare al meglio la presenza marittima degli europei, particolarmente attivi dal Corno d’Africa allo Stretto di Hormuz con missioni antipirateria, di presenza, sorveglianza e diplomazia navale.

Ciò chiama direttamente in causa l’India, che la Francia – al pari degli Stati Uniti – ha scelto di elevare al rango di partner più importante dopo il caso Aukus. Come Parigi, Dehli è in apprensione per l’attivismo di Pechino nella regione e per la sua crescita di influenza nei paesi vicini. È il caso di Sri Lanka e Myanmar, come pure di Maldive, Seychelles, Maurizio e Bangladesh.
In questa partita eminentemente strategica, la Francia scommette sulle risorse finanziarie e tecnologiche degli europei per rinsaldare il rapporto dell’Ue (dunque di sé stessa) con l’India e per rilanciarsi nel grande gioco dell’Indo-Pacifico.

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