LA LUNGA M ARCIA DEI DIRITTI UNIVERSALI da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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LA LUNGA M ARCIA DEI DIRITTI UNIVERSALI da IL MANIFESTO

La lunga marcia dei Diritti universali di donne e uomini

1971-2021. Oggi negli Stati Uniti è un anniversario importante. Si celebra il “Women’s Equality Day”, indetto per la prima volta nel 1971 e istituzionalizzato da Nixon nel 1973 sull’onda di scioperi e manifestazioni per la parità, organizzati da associazioni femminili, che ogni anno commemora l’adozione del XIX emendamento della Costituzione che fa divieto a Stati e governo federale di negare o limitare il diritto di voto ai cittadini in base al sessoRossella Rossini  26.08.202

Oggi negli Stati Uniti è un anniversario importante. Si celebra il “Women’s Equality Day”, indetto per la prima volta nel 1971 e istituzionalizzato da Nixon nel 1973 sull’onda di scioperi e manifestazioni per la parità, organizzati da associazioni femminili, che ogni anno commemora l’adozione del XIX emendamento della Costituzione che fa divieto a Stati e governo federale di negare o limitare il diritto di voto ai cittadini in base al sesso.

Era il 1920 quando le lotte per il suffragio femminile, promosse già nell’Ottocento dal movimento delle suffragette, raggiunsero il culmine portando, il 26 agosto, alla firma della dichiarazione che garantiva alle donne il diritto costituzionale di voto, primo passo sulla via della conquista di una progressiva parità.

Era il 1924 quando Eleanor Roosevelt, che delle lotte per i diritti delle donne fu una delle maggiori protagoniste, fu invitata a presentare un’apposita piattaforma alla commissione per le mozioni congressuali del Partito democratico, di cui era imminente la Convenzione nazionale. Mise insieme un panel di esperte e produsse un bel documento. Ma la commissione, composta esclusivamente da uomini, non lo prese neanche in considerazione: invano, restò fuori dalla porta ad aspettare.

Era il 1928 quando, consapevole che la conquista del diritto di voto non bastava, da sola, a far acquisire alle donne eguaglianza con gli uomini e parità di diritti e poteri, lanciò un grido di battaglia attraverso un coraggioso articolo femminista dal titolo Le donne devono imparare a fare lo stesso gioco degli uomini: «Sono dieci anni che le donne votano. Ma hanno raggiunto una vera uguaglianza politica con gli uomini? No. Prendono parte all’atto di recarsi alle urne, i politici sollecitano i loro voti; e, apparentemente, possiedono gli stessi diritti. Si tratta, però, di un atto sostanzialmente privo di valore reale».

Era il 1933 quando, divenuta first lady accanto al neo-eletto presidente Franklin Delano, denunciò l’Economy Act varato dalla nuova amministrazione in piena depressione economica perché penalizzava l’occupazione femminile: invocò pubblicamente un new deal per le donne registrando piccoli, ma importanti successi.

Era il 10 dicembre 1948 quando a Parigi l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, da lei presieduta, approvò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: Eleanor coronava il progetto, condiviso con il marito deceduto nel 1945, di costruire una grande organizzazione delle nazioni facendosi artefice in prima persona di quella che, per usare le sue parole, «può diventare la Magna Charta internazionale di tutti gli uomini in ogni luogo del mondo».

Il documento – frutto del lavoro di un gruppo di uomini e donne che, cooperando, hanno fatto nascere dalle ceneri di delitti inenarrabili una nuova era nella storia dei diritti – sfidò l’opinione comune secondo la quale il modo in cui uno Stato sovrano tratta i suoi cittadini riguarda quel paese soltanto e nessun altro. Ed è diventato il fulcro di tutti i successivi movimenti per la libertà.

Privo di valore giuridico vincolante, è stato successivamente accompagnato, come lei stessa aveva auspicato, da patti a garanzia dell’osservanza dei diritti sia civili e politici, sia economici, sociali e culturali, che ne cambiano la natura facendone il perno giuridicamente vincolante del sistema internazionale di protezione dei diritti umani.

Fa parte del primo, presentato nel 1954, adottato nel 1966 ed entrato in vigore nel 1976, la protezione contro le discriminazioni basate su sesso, etnia o religione. Viene resa così formalmente cogente per tutti gli Stati firmatari (oggi tutti i 193 paesi facenti parte delle Nazioni Unite), sotto monitoraggio del Consiglio per i diritti umani dell’Onu, anche l’osservanza della parità di diritti in base al sesso, ribadendo quanto prevede il Preambolo della Dichiarazione Universale quando afferma tra i diritti umani fondamentali «l’uguaglianza dei diritti dell’uomo e della donna».

A 70 anni di distanza la Dichiarazione universale rappresenta ancora uno degli strumenti principali per la protezione internazionale dei diritti umani e uno dei traguardi più importanti nella storia del diritto internazionale.

Il lungo elenco dei 193 paesi che fanno parte delle Nazioni Unite e come tali ne riconoscono Dichiarazioni e Convenzioni, fra cui la Dichiarazione Universale del 1948, è aperto (ironia della sorte voluta dall’ordine alfabetico) dallo stesso Afghanistan che nel 1981, sempre a Parigi, contribuì alla redazione della Dichiarazione Islamica dei Diritti Umani che intendeva controbilanciare, se non sconfessare, il precedente documento, perché non teneva conto delle regole in materia dettate dal Corano.

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