DEFICIT DI CREDIBILITÀ SUGLI IMPEGNI PRESI da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
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DEFICIT DI CREDIBILITÀ SUGLI IMPEGNI PRESI da IL MANIFESTO

La marcia mondiale per il clima day, oltre 200 mila a Glasgow

Assalto al cielo. Nella città scozzese un corteo lungo 5 chilometri assedia la Cop26. Ma la protesta è globale: dall’Australia alla Corea al Sudafrica

Luca ManesGLASGOW  07.11.2021

La giornata globale per la giustizia climatica, promossa da oltre 100 organizzazioni di tutto il mondo ha avuto il suo apice a Glasgow, dove è attualmente in corso la Cop26.
Nonostante delle condizioni meteorologiche proibitive, con violenti acquazzoni e un vento gelido ad accompagnare la lunga marcia degli attivisti, la manifestazione si è rivelata un successo ben oltre le aspettative degli organizzatori, che prevedevano una partecipazione di 100mila persone. A percorrere i cinque chilometri di strada tra il Kelvingrove Park e Glasgow Green c’erano circa 200mila persone, tanto che la coda del corteo è riuscita arrivare alla destinazione finale solo un’ora dopo rispetto al primo troncone.

UN SERPENTONE COMPOSTO da vari spezzoni, a partire, come nella manifestazione indetta venerdì dai Friday for Future, da quello dei popoli indigeni, seguito dai segmenti sulla giustizia climatica, la giustizia antirazzista, dei migranti e dei lavoratori. Ben visibili le bandiere di uno dei principali sindacati britannici, il Gmb, in piazza anche per sostenere le istanze dei netturbini di Glasgow, al momento in stato di agitazione.
Un corteo gioiosamente colorato e rumoroso, con una colonna sonora composta dalla musica dei sound system e delle orchestrine e arricchita qua e là da qualche isolato suono di cornamusa, che da queste parti non poteva proprio mancare. La sensazione è che ormai la Cop26 stia passando in totale secondo piano, quasi che tutti avessero metabolizzato il messaggio giunto ultimi giorni e esplicitato venerdì sera da Greta Thunberg: questo vertice è un totale fallimento. Mentre i negoziatori dei vari governi del Pianeta si spendono in uno sterile esercizio di pubbliche relazioni, sempre per parafrasare l’attivista svedese, la società civile si prende i suoi spazi, intrecciando i temi della gistizia climatica e ambientale con quelli della giustizia sociale, e diventa l’unica buona notizia di queste due settimane di vertice scozzese.

IL RICONOSCIMENTO dell’importanza di quanto visto nella due giorni di cortei arriva dagli stessi abitanti di Glasgow che schierati ai lati del serpentone applaudono i manifestanti. Un gesto quasi liberatorio, dopo giorni caratterizzati da un’enfasi assai mal riposta sui disagi e il pericolo di incidenti che avrebbero dovuto abbattersi sulla città. Non a caso lo spiegamento di forze dell’ordine era molto imponente, con decine di poliziotti posizionati su tutto il tragitto e due elicotteri a fare da sgraditi «angeli custodi» agli attivisti per il corso della giornata. Una mossa del tutto ingiustificata e criticata senza mezzi termini dai promotori dell’evento.

ANCHE LE AZIONI DIRETTE si sono svolte senza incidenti di rilievo. In particolare ieri mattina, poco prima dell’inizio della manifestazione, una ventina di esponenti di Scientist Rebellion, tutti rigorosamente con il camice da laboratorio e catene al collo, aveva bloccato il ponte King George V.
La giornata di mobilitazione globale è stata celebrata anche in altre parti del mondo: le manifestazioni nelle Filippine, in Australia, in Corea del Sud e in Indonesia hanno passato il testimone a Glasgow. Ma in Europa si è scesi in piazza anche a Londra, Olanda, Parigi e Bruxelles, dove il gruppo locale di Extintion Rebellion ha occupato alcune strade.

OVUNQUE LA PROTESTA è stata fantasiosa e incisiva. A Glasgow a slogan semplici e diretti come «non possiamo bere denaro», «codice rosso per l’umanità, l’apocalisse è adesso», si alternavano ha messaggi molto più complessi e articolati, che vanno però dritti al cuore del sistema messo in piedi dai governi, troppo spesso per compiacere le multinazionali. Allora basta con l’Energy Charter Treaty e il meccanismo di arbitrato denominato Investor State Dispute Settlement (Isds), entrambi visti come strumenti fin troppo proni agli interessi delle compagnie private. Lo denunciano in maniera graffiante e creativa i Corprat, travestiti a metà da topi e a metà da manager delle corporation (il nome è un gioco di parole in inglese piuttosto comprensibile anche nella nostra lingua). Ma non è certo banale la scritta net zero sbarrata, perché il proposito dei governi di pareggiare le emissioni rilasciate in aria con quelle «catturate» non convince proprio nessuno.

SERVE MOLTO DI PIÙ per proteggere dagli effetti dei cambiamenti climatici soprattutto le popolazioni del Sud del mondo, come già accennato anche ieri dalle protagoniste della manifestazione. Tra i più numerosi i brasiliani, non solo dall’Amazzonia ma anche dal sud del Paese. «Vengo da una regione dove si trova la foresta Atlantica e la situazione che stiamo vivendo è drammatica», spiega Kreta, dell’organizzazione Apib. «Il governo incentiva l’invasione dei territori indigeni da parte di gruppi armati che scacciano le comunità per favorire la deforestazione e l’estrazione dell’oro». Uno dei tanti pro memoria inviati da Glasgow al presidente Bolsonaro, nemico numero uno del clima e delle popolazioni indigene. Dal palco di Green di Park intervengono in tanti. Vanessa Nakate, la giovane attivista ugandese seconda solo a Greta per popolarità attacca: «Le parole dei leader non sono accompagnate dai fatti, basta con questi vertici senza significato, servono azioni concrete, e servono adesso«. E aggiunge: «Insieme siamo forti, e possiamo far sì che il cambiamento avvenga. Un altro mondo è possibile».

«Deficit di credibilità sugli impegni presi»

Cop26. Al primo giro di boa tra accordi e smentite, Guterres attacca

Anna Maria Merlo  07.11.2021

Check-Point a metà percorso: alla fine della prima settimana della Cop26 a Glasgow, per i manifestanti, in tutto il mondo, il risultato è già un «fallimento», una fiera di «greenwashing» e di ipocrisia. Per i diplomatici e i negoziatori non è ancora detta l’ultima parola. Intanto, fanno valere che è stato accettato l’obiettivo di agire per restare entro un riscaldamento di 1,5 gradi (mentre nell’Accordo di Parigi si parlava di restare al di sotto di 2 gradi).
Per il direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale dell’energia, Fatih Birol, c’è addirittura «una grande notizia»: se gli stati rispetteranno tutti gli impegni presi durante la prima settimana di Cop26, attraverso le numerose alleanze ad hoc che si sono concluse, il riscaldamento potrà essere contenuto a 1,8 gradi nel 2100. È più di 1,5 gradi, ma monto meno di +2,7 gradi, che era l’allarme dell’Onu alla vigilia della Cop. Però, anche l’ottimista Birol invita alla «prudenza».

Il segretario generale dell’Onu, Antono Guterres, insiste sul «deficit di credibilità» degli impegni presi. Difatti, già si vedono le prime crepe: l’Indonesia ha già fatto marcia indietro sulla rinuncia alla deforestazione, che prima aveva accettato, il Brasile ha promesso cose che smentisce ogni giorno nei fatti ecc. Inoltre, molti impegni riguardano il 2050 o oltre, mentre quando la data è più riavvicinata, il 2030, gli impegni si fanno più vaghi. Gli ottimisti vogliono però vedere il bicchiere mezzo pieno: una buona percentuale di paesi sui 197 implicati ha dato un accordo di principio per uscire dal carbone tra il 2030 e il 2040. 82 promettono una neutralità carbone per metà secolo (sono 13 in più del conteggio pre-Cop). Venti paesi (ci sono anche gli Usa) e 5 banche pubbliche hanno promesso di mettere fine ai finanziamenti internazionali dei combustibili fossili. Più di cento paesi sono a favore della fine della deforestazione entro il 2030, un numero analogo ha promesso di tagliare le emissioni di metano del 30% per quella data.

C’è addirittura la mirabolante ipotesi dei gestori di 130mila miliardi di capitali, preparata dall’ex governatore della Bank of England, Mark Carney, per la svolta su investimenti verdi. Già 150 paesi, responsabili dell’80% delle emissioni di Co2, hanno presentato all’Onu le rispettive Ndc (Nationally Determined Contributions). Ma se si analizzano i contenuti delle Ndc il bicchiere diventa subito mezzo vuoto: questi impegni nazionali porteranno a un aumento delle emissioni di Co2 del 14% nel 2030, mentre per rispettare l’obiettivo di +1,5 gradi bisognerebbe tagliare l’effetto serra del 45% in meno di una decina di anni. A Guterres cadono le braccia: «regnano mancanza di credibilità e confusione – ammette – ognuno dà alle parole un senso differente, e misura le cose in modo diverso». Laurent Fabius, che a Parigi nel 2015 aveva in mano il martelletto che ha battuto sul tavolo per segnare il successo dell’Accordo, dice che a metà percorso a Glasgow «c’è un’atmosfera meno pessimista di qualche settimana fa».

Ma da lunedì i vari negoziati entrano nel difficile. A Glasgow devono essere definite le regole per l’applicazione dell’Accordo di Parigi. Attorno ai vari tavoli ci saranno i ministri. Alok Sharma, presidente della Cop26, è in allarme: «questa settimana non sarà calma». Sharma sottolinea: «se i paesi hanno firmato impegni, ovviamente, devono rispettarli». E qui c’è il dettaglio che può far deragliare tutto: non ci sono strumenti, per non parlare di sanzioni, per obbligare un paese a far seguire le azioni alle parole.
Il passato non è consolante: l’accordo sulla deforestazione, per esempio, riprende la Dichiarazione di New York del 2014, che prevedeva il blocco per il 2020 e non è stata rispettata, quindi lo sposta al 2030, mentre i 100 miliardi l’anno che i paesi ricchi hanno promesso a quelli poveri è un impegno preso 12 anni fa, non ancora mantenuto e oggi riproposto per il 2023.

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