LA CRISI DIVIDE da IL MANIFESTO
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
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LA CRISI DIVIDE da IL MANIFESTO

Sì alla sfida politica di unire quello che la crisi divide

Sinistra, Roma. La storia ci insegna che da crisi di questa natura si esce spesso a destra. Si invocano i tecnici o i manager, come se ci fosse da riparare qualcosa per farlo funzionare come prima o gestire un apparato in maniera più efficiente. Invece è di teorici, di un’intelligenza sociale diffusa che abbiamo bisogno, perché quello che serve se non vogliamo sprecare la crisi è un ripensamento radicale, non aggiustare o gestireAdriano Labbucci   13.04.2021

Ragionando sul voto a Roma, sui tanti gruppi, associazioni, comitati, le diverse sigle politiche di sinistra, Bevilacqua e Scandurra in un articolo del 7 aprile su il manifesto rivolgono un invito a Sinistra Italiana a «mettere insieme, se non tutti, almeno gran parte di questi frammenti sparsi e tentare un’esperienza simile a quella di “Coraggiosa” in Emilia». È un ragionamento che raccolgo e condivido. Alle elezioni ci misureremo con le domande e le attese di città, non solo Roma, dove crescono povertà e diseguaglianze che coinvolgono fasce sociali inedite, alimentando paure e insicurezze diffuse.

La storia ci insegna che da crisi di questa natura si esce spesso a destra. Si invocano i tecnici o i manager, come se ci fosse da riparare qualcosa per farlo funzionare come prima o gestire un apparato in maniera più efficiente. Invece è di teorici, di un’intelligenza sociale diffusa che abbiamo bisogno, perché quello che serve se non vogliamo sprecare la crisi è un ripensamento radicale, non aggiustare o gestire. Per fare cose diverse bisogna pensare diversamente. Indicando una direzione, una finalità chiara: unire ciò che la crisi divide, accorciare le distanze, rigenerare ciò che è stato devastato.

Radicalità nel pensiero e insieme unità nell’agire politico. Perché chi è debole ha bisogno di forza. Pochi ma buoni appartiene alla sfera religiosa non a quella politica. Per questo abbiamo lavorato a promuovere una coalizione larga tra forze politiche, sociali, civiche, movimenti. Altrimenti non si cambia la città e non si compete per la sfida del governo. Un programma di svolta senza la forza di uno schieramento rimane un’esercitazione cartacea; un’alleanza senza ambizione e progetto soccombe di fronte agli eventi e alle forze esterne. Un lavoro che a Roma era iniziato in maniera promettente ma che poi le contraddizioni, le difficoltà interne al Pd hanno sospeso. Ma è questa la via da percorrere, non saranno le primarie o il solo candidato sindaco/a in questa situazione a risolverci magicamente i problemi.

E serve che in questa alleanza sia visibile la presenza, il profilo, la cultura, i contenuti delle forze di sinistra, ecologiste, progressiste, femministe, civiche. C’è una ricchezza di elaborazione, esperienze, pratiche, culture, competenze; di persone che ogni giorno fanno e dicono cose di sinistra. In questi mesi abbiamo promosso occasioni, momenti, sedi in cui mettere in comune questo patrimonio uscendo ognuno dai propri recinti. L’obiettivo è che da Roma venga un segnale diverso rispetto alla frammentazione di liste di sinistra che si è registrato alle regionali dell’anno scorso in tutta Italia, rendendoci ininfluenti e confermando quel giudizio di divisione e rissosità divenuto oramai senso comune.

Per farlo non bisogna confondere il piano delle elezioni con quello di nuovi soggetti politici, se non altro perché sbagliare è umano perseverare è diabolico. È chiaro che in Italia manca un partito di sinistra dotato di forza e consensi adeguati, ma è altrettanto chiaro che questo non si fa in pochi mesi e a ridosso del voto. L’esperienza di “Coraggiosa” in Emilia, che Bevilacqua e Scandurra citano, si è rivelata una delle poche a sinistra capace di unire, innovare e convincere, grazie alla figura di Elly Schlein.

Possono le diverse lista di sinistra nelle grandi città ritrovarsi attorno ad alcuni punti programmatici qualificanti? Possono trovare un nome o un segno grafico che rappresenti un ragionamento e un percorso comune? Sarebbe già un importante passo in avanti rispetto alla frammentazione attuale ai più incomprensibile. Diversamente l’esito è scontato: l’irrilevanza politica. Non ci saranno altre chiamate.

Per parte nostra raccogliamo l’invito e continueremo a lavorare in questa direzione. L’alleanza si fa tra diversi, ma se non si vuole finire subalterni o inglobati serve un’autonomia di pensiero, di proposta, di presenza; serve una massa critica in grado di pesare e influire sulle decisioni. Una sinistra coraggiosa.

L’autore è Segretario Sinistra Italiana – Roma Metropolitana

 

Le condizioni per una sinistra nuova e ambiziosa

 

Loris Caruso  13.04.2021

La pandemia sta evidenziando problemi epocali e sta facendo crescere orientamenti che attualmente sono privi di una rappresentanza politica.

Come dimostrano ricerche e sondaggi recenti, è cresciuta l’evidenza e la consapevolezza che lo Stato debba garantire servizi pubblici universalistici in modo efficiente a tutta la popolazione.

È cresciuta la consapevolezza del ruolo e della capacità d’intervento che lo Stato deve avere in economia, anche elaborando politiche industriali che creino e/o redistribuiscano il lavoro secondo una progettualità di lungo periodo.

È cresciuta la percezione di quanto siano insostenibili le disuguaglianze sociali.

È cresciuta l’evidenza che il lavoro subordinato è la forza produttiva più penalizzata dalle politiche e dai processi economici degli ultimi decenni.

Ed è infine cresciuta l’evidenza di quanto sia epocale e incida sulle nostre vite la crisi climatica e ambientale. Evidenza che è in parte presente nel discorso politico (definita come «transizione green») ma in modo retorico, senza che siano visibili progettualità, politiche e strumenti chiari.

Tutte queste evidenze e consapevolezze però non sono rappresentate politicamente.

C’è quindi un vuoto di rappresentanza su questioni fondamentali che toccano la maggioranza delle persone, (per approfondirle, dal 16 al 18 aprile ci sarà un’iniziativa intitolata «La lezione del 2020. Spunti per il futuro», www.lalezionedel2020.it).

Contemporaneamente, il sistema politico è avvitato in una crisi di cui è difficile vedere l’uscita. Le forze politiche della destra godono di buona salute. Nell’altro campo, però, le difficoltà sono enormi e forse sottovalutate.

Il Pd di Zingaretti aveva suscitato speranze in ampia parte della sinistra. Sembrava che a partire dal superamento dell’esperienza renziana potesse essere costruito un «campo largo e progressista». Il fallimento della segreteria Zingaretti ha dimostrato che quel partito è strutturalmente inadeguato a un compito di quel tipo.

Dimostrazione che difficilmente potrà essere smentita dal neosegretario, essendo Enrico Letta programmaticamente forse ancora più vago di Zingaretti, altrettanto incapace di comunicare idee forti che incidano sulle fratture sociali non rappresentate, e forse personalmente più adatto a ruoli istituzionali che di leadership politica.

Norma Rangeri ha definito il Pd un «partito governativo di centro». Forse lo si può dire anche del nascente Movimento 5 Stelle di Conte.

Prima come premier, ora come «leader in pectore», Conte adotta una postura politica difficilmente decifrabile. Si presenta al contempo come vicino all’impresa e attento al sociale, favorevole a un rafforzamento del ruolo dello Stato ma incline a limitarlo al solo sostegno dell’impresa economica privata. Conte ha goduto e gode di un consenso dovuto al fatto di ricoprire la massima carica politica in un periodo di emergenza, riuscendo ad apparire «empatico» e rassicurante. Non è affatto detto però che quel consenso sia traducibile e conservabile nel suo nuovo ruolo di leader politico.

Di più, non è detto che il suo consenso personale basti a nascondere o limitare la crisi strutturale del M5S, la sua trasformazione in partito tradizionale privo di un discorso politico riconoscibile, e la sua imminente probabile scissione.

Vanno aggiunti due fattori.

La sinistra radicale è da tempo costretta all’irrilevanza elettorale, e una parte consistente di elettorato, di attivisti e di militanti già attivi o potenzialmente attivi sono privi di una «patria» politica.

Visto questo insieme di fattori – l’insieme di fratture epocali prive di rappresentanza politica e di crisi di attori politici centrali – può essere il tempo di una proposta politica nuova e ambiziosa. Ambiziosa, che non punti a raggiungere un quorum o eleggere sparute pattuglie parlamentari, ma ad essere competitiva con il Partito democratico e puntare a sostituirlo, nell’immaginario collettivo, nel ruolo della «sinistra» del Paese e di forza su cui è razionale investire per battere la destra. E nuova. Cioè dotata di un’identità, ma non identitaria.

Autonoma, ma non settaria. Che elabori discorsi, pratiche e forme organizzative orientati a raggiungere la maggioranza della società, non minoranze già ideologizzate. E che, sulla base delle fratture sociali non rappresentate dalla politica esistente, individui tre-quattro battaglie chiave su cui rendersi riconoscibile e provare a unificare mondi, interessi e aspirazioni frammentati.

È possibile?

In altri paesi, forze politiche con queste caratteristiche sono nate prevalentemente in presenza di alcune condizioni: la contemporaneità di una crisi politica e di una crisi economica; una forte mobilitazione sociale capace di modificare il senso comune; la presenza di leadership riconoscibili.

In Italia non tutte queste condizioni sono presenti. Ma alcune lo sono. Su altre si può, forse, lavorare.

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