Migranti. Il silenzio della sinistra
Saperi. In assenza di un grande collettore politico prevalgono le specializzazioni, manca il dialogo tra i saperi e la frammentazione blocca le potenzialità del pensiero critico. Una parziale cartografia degli studiosi italiani di varie discipline
Cultura, Saperi, Università, Dialogo
2035
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Migranti. Il silenzio della sinistra

Pubblichiamo questo articolo perché è condivisibile, e perché esce sul bollettino del governo. L’autore dell’articolo però non legge “il manifesto”, non frequenta le discussioni fuori dalla scena di regime, e quando parla di sinistra intende la gente per bene che milita sotto le bandiere del progresso. Insomma, il giornalismo riformista non va oltre il “Corriere della sera”, “la Repubblica”, Galli della Loggia, Saviano e le altre stelle della comunicazione a mezzo stampa.

Quanto a noi dell’Officina, sui “popoli in movimento” abbiamo scritto articoli e libri. Anche su questo tema non siamo stati in silenzio. 

Il silenzio della sinistra

di Massimo GIANNINI, “la Repubblica”, 7 agosto 2017

C’è solo una cosa che indigna di più, di fronte all’insopportabile ondata della “mitologia social-xenofoba”: l’eclissi della sinistra, la scomparsa della società civile. Non un pensiero, non una parola che riescano non dico a confutare (sarebbe chiedere troppo, in questi tempi di buio culturale) ma almeno ad arginare l’uso politico della paura e dell’odio contro i migranti. Solo un silenzio colpevole, che asseconda quiescente (se non addirittura consenziente) il cosiddetto “sovranismo” della destra, che lucra rendite elettorali all’incrocio fatale tra il malessere identitario e l’impoverimento economico.

La prova di questa grandiosa svendita valoriale di fine stagione sta da una parte nell’incapacità dei sedicenti progressisti (di piazza e di palazzo) di difendere il ruolo delle Ong, dall’altra nella resa definitiva di Renzi sulla legge per lo ius soli. Due fatti speculari e figli della stessa deriva nichilista. Quella di chi, in nome del popolo, non sa o non vuole più contrastare l’egemonia populista. Sulle Ong l’unico che ha il coraggio di dire tutta la verità, contro il discorso social-xenofobo dilagante, è Roberto Saviano.

Con Medici Senza Frontiere, senza se e senza ma. Per il resto, il vuoto. Eppure non dovrebbe essere così difficile, studiando un po’ di storia e di cronaca, condividere il no di Msf al Codice Minniti, che impone alle Ong di accogliere agenti armati a bordo delle loro navi. Non dovrebbe essere imbarazzante ricordare che Msf (come Emergency) effettua dal 2015 i salvataggi in mare sotto il diretto coordinamento della Guardia Costiera, e fu la prima a proporre un anno fa un Memorandum di intesa alle autorità italiane, per coordinare al meglio i soccorsi dei migranti.

È semplicemente intollerabile, come fa Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera, pretendere da quelle organizzazioni di “scegliere tra l’Italia e gli scafisti”. È un dilemma odioso a sua volta, perché falso e fuorviante. Come ha scritto Saviano su questo giornale, ammainare la bandiera di quel kalashnikov barrato dentro a un cerchio rosso, per quelle Ong, è come rinunciare alla loro missione, che è e resta sempre la stessa, in Congo come in Libia, nelle acque del Canale di Sicilia come in quelle del Lago Ciad: salvare vite umane, rispettando i principi di indipendenza, imparzialità e neutralità internazionalmente riconosciuti. Dunque non c’è nessuna scelta da fare, tra legalità e trafficanti. L’unica scelta da fare è tra salvare vite umane e lasciare che, attraverso i respingimenti o gli inasprimenti del “codice di condotta”, la morte in mare sia il vero e unico deterrente utile a fermare gli sbarchi.

La politica scarica sulle Ong quello che non sa o non vuole fare: gestire i flussi. Così dà sfogo a un’altra, insopportabile manipolazione: il salvataggio in mare di migliaia di disperati, che in assenza di canali migratori legali si affidano ai trafficanti di morte, equivale alla gestione dei profughi sul territorio, sfruttati dagli avvoltoi delle coop col denaro pubblico. Sono due emergenze nettamente distinte: soccorrere e proteggere chi sta morendo, accogliere o rimpatriare chi chiede asilo. Ma nella narrazione social-xenofoba diventano la stessa cosa, alla fine ugualmente discutibile, se non addirittura esecrabile. E richiedono la stessa risposta: militare per i salvataggi in mare, poliziesca per i migranti sulla terraferma. “Reato umanitario” per chi aiuta, reato di clandestinità per chi approda.

Gli sbarchi sono aumentati nella prima metà dell’anno, è vero: ma secondo i numeri la tanto minacciata “invasione” non c’è e non ci sarà. Il Mediterraneo non è in guerra, è altrettanto vero: ma un bambino, una donna, o un uomo morti affogati ogni due ore gli somigliano tanto. Perché la sinistra non lo dice? Perché gli intellettuali non parlano? Perché nessun tg Rai spende un minuto per tentare un altro “storytelling”, meno banale e corrivo di quello che mette gli ultimi del pianeta contro i penultimi di casa nostra? Ha ragione da vendere, Saviano: sono a loro volta impauriti. Con buona pace di Galli Della Loggia, sono succubi della canea razzista in cerca di capri espiatori. Temono lo squadrismo grillo-leghista, che si esercita dentro e fuori dalla rete. E guardano alle urne del 2018, dove la campagna anti-migranti promette ricche rendite elettorali.

Lo ius soli è adesso a sua volta il terreno di questa possibile caccia di voti. Non può essere un caso se proprio ora il segretario del Pd, dalle dolci colline di Capalbio, rinuncia a combattere quella che solo un mese fa aveva giustamente definito “una battaglia di civiltà”. Fa bene Pisapia a gridare a Renzi che invece quella battaglia in Parlamento non va affatto abbandonata. Ma purtroppo è una “resistenza” inutile. Anche il diritto di cittadinanza del bimbo nato in Italia da almeno un genitore con permesso di soggiorno definitivo non c’entra nulla con il tema epocale delle migrazioni. Ma anche quel sacrosanto diritto, insieme a molto altro, finisce ormai nella stessa discarica della Storia nella quale la sinistra ha deciso di buttare tutto quello in cui ha creduto. Tutto quello per cui ha lottato. Tutto quello che l’ha resa degna di esistere.

 

 

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